La storia

L’undici giugno 1593, il notaio Lucio Perrotti, campagnese, si porta nel convento dei Domenicani e stipula l’atto notarile, nel quale elenca e assegna i beni, che dovevano servire come patrimonio all’istituzione della Confraternita del SS. Nome di Dio.
Con questo pubblico atto, i Domenicani concessero l’arca dell’attuale cappellone e dell’oratorio annesso, sul quale essi avevano già iniziato la base del campanile.
Consegnarono poi, a malincuore, il Crocifisso svestito e privo di velo e si riservarono il diritto della sepoltura sotto l’oratorio della erigenda Confraternita.
Tredici nobili campagnesi firmarono l’atto notarile con i monaci e si impegnarono a realizzare, con sollecitudine, quanto stabilito nello “strumento”: demolire il rozzo altare, situato dove attualmente è l’entrata del cappellone, costruirne uno nuovo, sul quale mettere il Crocifisso, e fabbricare l’oratorio sotto al quale edificare il luogo della sepoltura.
Nei primi di agosto del 1593, il vicario generale dell’ordine domenicano ratifica l’atto notarile.
La Confraternita, sotto il titolo di “SS. Nome di Dio”, è costituita l’11 giugno 1593 e riconosciuta civilmente il 30 aprile 1765; ha sede nella chiesa di San Bartolomeo Apostolo di Campagna, nel proprio oratorio.
La congrega venne dotata, fin dalla sua origine, di ricche entrate, dalle più illustri famiglie di Campagna e, principalmente, dal dotto Giulio De Vicariis, che donava tutta la sua proprietà. Nell’onciario o catasto del 1741 possedeva un latifondo a Pariti di circa 200 tomoli di terreno, un bosco ceduo a Visciglito e Serroni, una selvacedua alla Ripa della Guardia, trappeti a Portafiera e case a Casalnuovo, a Costa Torre e san Bartolomeo. Provvedeva non solo al culto del Santuario, ma anche a promuovere la moralità cittadina, accordando maritaggi alle zitelle povere, ma oneste, senza trascurare i bisogni dei fratelli poveri, elargendo larghi sussidi.
A principio del sec. XIX, ebbe il suo primo crollo economico, allorché Saverio Onesti, già tesoriere del Pio Sodalizio, nel dare il conto della sua gestione si trovò in disavanzo di una piccola somma. Per recuperarla, si aggiudicò, all’asta, la vasta tenuta di Pariti. Saverio Onesti, che si reputava un grande uomo, facendosi nominare anche Cavaliere di Malta, “… lasciò una terribile eredità ai figli. Scomparvero tutti dalla faccia della terra senza aver prole e quel solo che ebbe una figlia, questa portò la sventura e la distruzione della famiglia, a cui si univa. La proprietà fu venduta. Il solo Pariti forma l’appannaggio di varie famiglie.